martedì 28 aprile 2009

Claudio Monteverdi: Terzo libro di madrigali (1592)

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Claudio Monteverdi: Libro III

Terzo libro de madrigali (1592)

a 5 voci.
In Venetia Appresso Ricciardo Amadino.

1. La giovinetta pianta
2. O come è gran martire
3. Sovra tenere erbette e bianchi fiori
4. O dolc’anima mia, dunque è pur vero
5. Stracciami pur il core
6. O rossignuol ch’in queste verdi fronde
7. Se per estrem’ardore
8. Vattene pur, crudel, con quella pace
9. O Primavera, gioventù de l'anno
10. Perfidissimo volto
11. Ch'io non t'ami, cor mio?
12. Occhi un tempo, mia vita
13. Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure
14. Lumi miei, cari lumi
15. Rimanti in pace



1. La giovinetta pianta
La giovinetta pianta
si fa più bell’al sole,
quando men arder suole.
Ma se fin dentro sente
il vivo raggio ardente,
dimostran fuor le scolorite spoglie
l’intern’ardor che la radice accoglie.
Così la verginella
amando si fa bella,
quand’Amor la lusinga e non l’offende.
Ma se ’l suo vivo ardore
la penetra nel core,
dimostra la sembianza impallidita
ch’ardente è la radice de la vita.

2. O come è gran martire
Battista Guarini

O come è gran martire
a celar suo desire,
quando con pura fede
s’ama chi non se ’l crede.
O soave mio ardore,
o giusto mio desio,
s’ognun ama il suo core
e voi sete il cor mio,
allor non fia ch’io v’ami
quando sarà che viver più non brami.

3. Sovra tenere erbette e bianchi fiori
Sovra tenere erbette e bianchi fiori
stava Filli sedendo
ne l’ombra d’un alloro,
quando li dissi: «Cara Filli, io moro».
Ed ella a me volgendo
vergognosetta il viso,
frenò frangendo fra le rose il riso
che per gioia dal core
credo ne trasse Amore.
Onde lieta mi disse:
«Baciami, Tirsi mio,
che per desir sento morirmi anch’io».

4. O dolc’anima mia, dunque è pur vero
Battista Guarini

O dolc’anima mia, dunque è pur vero
che cangiando pensiero
per altrui m’abbandoni?
Se cerchi un cor che più t’adori ed ami,
ingiustamente brami;
se cerchi lealtà, mira che fede,
amar quand’altrui doni
la mia cara mercede
e la sperata tua dolce pietate.
Ma se cerchi beltate,
non mirar me, cor mio, mira te stessa
in questo volto, in questo cor impressa.

5. Stracciami pur il core
Battista Guarini

Stracciami pur il core;
ragion è ben, ingrato,
che se t’ho troppo amato
porti la pena del commess’errore.
Ma perché stracci fai de la mia fede?
Che colp’ha l’innocente?
Se la mia fiamma ardente
non merita mercede,
ah, non la merta il mio fedel servire?
Ma straccia pur, crudele:
non può morir d’amor alma fedele.
Sorgerà nel morir quasi fenice
la fede mia più bell’e più felice.

6. O rossignuol ch’in queste verdi fronde
Pietro Bembo
O rossignuol ch’in queste verdi fronde
sovra ’l fugace rio fermar ti suoli,
e forse a qualche noia ora t’involi
dolce cantando al suon de le roche onde;
alterna teco in not’alt’e profonde
la tua compagna, e par che ti consoli.
A me, perch’io mi strugga e pianti e duoli
versi ad ognor, nissun già mai risponde,
né di mio danno si sospira o geme.
E te s’un dolor preme,
può ristorar un altro piacer vivo,
ma io d’ogni mio ben son cass’e privo.

7. Se per estrem’ardore
Battista Guarini
Se per estrem’ardore
morir potesse un core,
saria ben arso il mio
fra tanto incendio rio.
Ma come salamandra nel mio foco
vivo per la mia donna in festa e ’n gioco.
E se m’avien talora
che per dolcezza i’ mora,
mercé d’Amor risorgo qual fenice
sol per viver ardend’ognor felice.

8. Vattene pur, crudel, con quella pace
Torquato Tasso - "Gerusalemme Liberata", XVI, 59, 60, 63
«Vattene pur, crudel, con quella pace
che lasci a me; vattene, iniquo, omai.
Me tosto ignudo spirt’ombra seguace
indivisibilmente a tergo avrai.
Nova furia, co’ serpi e con la face
tanto t’agiterò quanto t’amai.
E s’è destin ch’esca del mar, che schivi
li scogli e l’onde e che a la pugna arrivi,
là tra ’l sangue e le morti egro giacente
mi pagherai le pene, empio guerriero.
Per nome Armida chiamerai sovente
ne gli ultimi singulti: udir ciò spero.»
Or qui mancò lo spirto a la dolente,
né quest’ultimo suono espress’intero;
e cadde tramortita e si diffuse
di gelato sudor e i lumi chiuse.
Poi ch’ella in sé tornò, deserto e muto
quanto mirar poté d’intorno scorse.
«Ito se n’è pur» disse «ed ha potuto
me qui lasciar de la mia vita in forse?
Né un momento indugiò, né un breve aiuto
nel caso estremo il traditor mi porse?
Ed io pur anco l’amo, e in questo lido
invendicata ancor piango e m’assido?»

9. O primavera, gioventù de l’anno
Battista Guarini - "Pastor fido", III, I

O primavera, gioventù de l’anno,
bella madre de’ fiori,
d’erbe novelle e di novelli amori,
tu ben, lasso, ritorni,
ma senza i cari giorni
de le speranze mie.
Tu ben sei quella
ch’eri pur dianzi, sì vezzosa e bella;
ma non son io quel che già un tempo fui,
sì caro a gli occhi altrui.

10. Perfidissimo volto
Battista Guarini
Perfidissimo volto,
ben l’usata bellezza in te si vede,
ma non l’usata fede.
Già mi parevi dir: «Quest’amorose
luci che dolcemente
rivolgo a te, sì belle e sì pietose,
prima vedrai tu spente
che sia spento il desio ch’a te le gira.»
Ahi, ch’è spent’il desio,
ma non è spento quel per cui sospira
l’abandonato core.
O volto troppo vago e troppo rio,
perché se perdi amore
non perdi ancor vaghezza,
o non hai pari a la beltà fermezza?

11. Ch’io non t’ami, cor mio?
Battista Guarini

Ch’io non t’ami, cor mio?
Ch’io non sia la tua vita e tu la mia?
Che per novo desio
e per nova speranza i’ t’abandoni?
Prima che questo sia,
morte non mi perdoni.
Ma se tu sei quel core onde la vita
m’è sì dolc’e gradita,
fonte d’ogni mio ben, d’ogni desire,
come poss’io lasciarti e non morire?

12. Occhi, un tempo mia vita
Battista Guarini

Occhi, un tempo mia vita;
occhi, di questo cor fido sostegno,
voi mi negate, ahimè, l’usata aita?
Tempo è ben di morire; a che più tardo?
A che torcete il guardo?
Forse per non mirar come v’adoro?
Mirate almen ch’io moro.

13. Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure
Torquato Tasso - "Gerusalemme Liberata", XII, 77-79

Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure,
mie giuste furie, forsennato, errante;
paventarò l'ombre solinghe e scure
che 'l primo error mi recheranno inante,
e del sol che scoprí le mie sventure,
a schivo ed in orrore avrò il sembiante.
Temerò me medesmo; e da me stesso
sempre fuggendo, avrò me sempre appresso.
Ma dove, oh lasso me!, dove restaro
le reliquie del corpo e bello e casto?
Ciò ch'in lui sano i miei furor lasciaro,
dal furor de le fère è forse guasto.
Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro
troppo e pur troppo prezioso pasto!
ahi sfortunato! in cui l'ombre e le selve
irritaron me prima e poi le belve.
Io pur verrò là dove sète; e voi
meco avrò, s'anco sète, amate spoglie.
Ma s'egli avien che i vaghi membri suoi
stati sian cibo di ferine voglie,
vuo' che la bocca stessa anco me ingoi,
e 'l ventre chiuda me che lor raccoglie:
onorata per me tomba e felice,
ovunque sia, s'esser con lor mi lice.

14. Lumi, miei cari lumi
Battista Guarini
Lumi, miei cari lumi,
che lampeggiate un sì veloce sguardo
ch’a pena mira e fugge
e poi torna sì tardo
che ’l mio cor se ne strugge;
volgete a me, volgete
quei fuggitivi rai,
ch’oggetto non vedrete
in altra parte mai
con sì giusto desio,
che tanto vostro sia quanto son io.

15. Rimanti in pace
Livio Celiano
«Rimanti in pace» a la dolente e bella
Fillida, Tirsi sospirando disse.
«Rimanti, io me ne vo; tal mi prescrisse
legge, empio fato, aspra sorte e rubella.»
Ed ella ora da l’una e l’altra stella
stillando amaro umore, i lumi affisse
ne i lumi del suo Tirsi e gli trafisse
il cor di pietosissime quadrella.
Ond’ei, di morte la sua faccia impressa,
disse: «Ahi, come n’andrò senza il mio sole,
di martir in martir, di doglie in doglie?»
Ed ella, da singhiozzi e pianti oppressa,
fievolmente formò queste parole:
«Deh, cara anima mia, chi mi ti toglie?»

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I madrigali completi di Claudio Monteverdi sono pubblicati, a cura di Andrea Bornstein, dalle Ut Orpheus Edizioni di Bologna: "Claudio Monteverdi - Madrigali".